MoonAtWar

  1. cirice

    AvatarBy Moon at war il 22 Mar. 2016
     
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    Le sedie di quel bar erano arancioni, di pelle, spellate sugli angoli e sul sedile.
    Ricordo esattamente quando l'arancione facesse contrasto con i tuoi capelli lunghi, immensamente lunghi
    e lisci, di quel castano chiaro che ricorda promesse autunnali che facilmente ho frainteso.
    Perchè era inverno, e tu avevi un maglione a collo alto nero, e i tuoi capelli, alla luce del pomeriggio, erano miele feroce.
    Ci sedemmo, tu non mi tenevi mai la mano, mai, nonostante io desiderassi quel contatto fisico più di ogni altra cosa
    più di ogni altra promessa, desideravo solo che mi sfiorassi le mani.
    Invece inizio a giocherellare con le mie, con uno dei miei numerosi anelli, mentre tu, in pieno dicembre, con le vetrine dei negozi
    addobbate a festa, ordinavi due immense coppe gelato vaniglia, caffè e whisky.
    Io ho sempre odiato il gelato in grandi quantità, tu odiavi i dolci, eppure eravamo lì a mangiare due coppe gelato in un inverno
    gelido, due mesi dopo esserci conosciuti.
    Mangiavo quel gelato per due semplici motivi:
    il primo era che il liquore iniziava a darmi alla testa.
    il secondo era che, da quando due mesi prima ti avevo offerto un rum e pera in un bicchiere di plastica in spiaggia e tu mi avevi risposto senza nemmeno conoscermi che l'avresti bevuto anche dalla mia pancia bucata da un piercing, io mi ero innamorata di te.
    Tu sognavo la notte, sognavo di scopare con te, sognavo quel sorriso, la tua maglietta e il tuo bracciale distrutto dalla salsedine.
    sognavo di te con cattiveria, sognavo di te come non avevo mai sognato nessuno in vita mia.
    ti sognavo nonostante questo desiderio mi facesse schifo, lo rigettavo, lo sterminavo alle prime luci dell'alba.
    sognavo dei tuoi capelli marroni nonostante io odi il marrone e della tua sfacciataggine.
    Una sfacciataggine fastidiosa, maleducata, chiassosa, volgare.
    Tutto in te era oltre ciò che io avrei potuto sopportare, oltre tutto ciò che potevo prevedere.
    Ovunque tu fossi, la tua presenza si spalmava, vischiosa, sulle pareti.
    La tua presenza aveva pervaso la mia vita così come quel gelato mi soffocava le papille gustative.
    Mentre mangiavo, mi fissavi, spostandoti dal viso i capelli.
    in quell'abbuffata di zuccheri e alcol, io ero il piatto principale.
    Da sbranare e, anni dopo , fare a pezzi.
    Un pezzo alla volta. Un cucchiaio alla volta.
    Avrei fatto qualsiasi cosa perchè tu, in quel momento, mi amassi.
    Qualsiasi cosa mi avresti chiesto, da quel momento in poi, io per te l'avrei fatta.
    immaginavo una scena alla pulp fiction, nello stesso bar sgangherato, tu che mi sussurri all'orecchio di far fuori tutti dopo
    averli rapinati.
    Io e te contro il mondo, nonostante il mondo non sapesse di noi, e una pistola.
    Ma eravamo solo io, te, un gelato alla panna.
    Sarebbe bello dirti che ogni volta che passo davanti a quel bar non penso a quel gelato, a quel giorno.
    A te che disegni sui finestrini della macchina, sul vapore dei nostri respiri.
    Ai tuoi capelli soprattutto, e alle tue mani.
    Che erano sempre così' lontane.

    troppo lontane.
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